Ivan Navarro è Una vertigine luminosa di memoria

"Nacht und Nebel" è l'installazione che l'artista cileno Ivan Navarro presenta alla Fondazione Volume! di Roma fino al 5 maggio 2012. Sette pozzi che rievocano l’atmosfera della Capitale occupata dalle truppe naziste e bombardata ripetutamente tra il settembre 1943 e il giugno ’44. 'Odio', 'occhio', 'ecco', 'becco', 'eco', 'ex', 'eccidio' sono le scritte al neon che sprofondano nei pozzi. Più che parole, attivatori luminosi di senso. Paola Ugolini ha intervistato l'artista il giorno dell'inaugurazione. 

Quando hai deciso di usare la luce come elemento principale nel tuo lavoro?

«Ho cominciato a lavorarci come fotografo, in particolare all’inizio della mia esperienza artistica ero interessato a realizzare un reportage sugli albini. La prima volta che ho visto un albino avevo circa 7 anni, ero rimasto colpito da un gruppo di ragazzini albini molto poveri che appartenevano ad una famiglia di tutti albini, che giravano per il mio quartiere bussando alle case chiedendo l’elemosina. Mi affascinavano perché, pur essendo bambini come me, erano obbligati a portare sempre gli occhiali da sole perché i loro occhi chiarissimi erano pericolosamente fotosensibili. Quando ho cominciato a frequentare l’Accademia d’arte a Santiago del Cile ho passato i primi due anni a lavorare a questo progetto fotografico sugli albini, sono letteralmente andato in giro per le strade a cercarli e quando li trovavo li seguivo e li fotografavo come se li stessi spiando, talvolta li fermavo e cercavo di stabilire un rapporto per poi chiedergli di fargli il ritratto. Ho fatto tantissime cose con gli albini, anche delle performances in cui gli ho tinto i capelli. Ho lavorato con loro sull’idea di identità, cioè in che modo gli albini vivono il concetto di appartenenza in quanto, non avendo un colore di pelle definito, è come se non avessero una razza, e questo mi interessava molto. All’inizio però, più che alla luce, ero interessato ai mobili e all’arredamento perché in quel periodo, circa la metà degli anni ’90, in Cile non c’era un sistema dell’arte, non c’erano gallerie e tantomeno collezionisti, i musei erano luoghi davvero deprimenti e non c’era nessun posto dove esporre arte. I mobili, invece, potevo esporli ovunque. Ho potuto realizzare dei tavoli e presentarli sia come sculture che come oggetti funzionali, è stato anche un modo di criticare l’oggetto d’arte che deve vivere in maniera autonoma rispetto al contesto della realtà. Dopo i tavoli, il mio interesse si è spostato verso le lampade, in particolare i neon, che sono oggetti davvero interessanti, molto flessibili con cui si possono fare molte cose sia oggetti funzionali che sculture luminose».

Il tuo lavoro è sia poetico che politico. Il tuo rapporto con la storia recente del Cile e con le tue memorie private è molto stretto. Come fai convivere due aspetti apparentemente lontani, poesia e realtà?

«Per quanto riguarda la politica ho capito che è molto legata al concetto di regola, cioè a come l’opera interagisce con il contesto sociale in cui viene inserita. La parola "politica" in senso generico non trovo sia giusta, in quanto l’arte ha la sua propria politica che impone delle regole, ci sono molte cose con cui devo dialogare quando realizzo un’opera: lo spazio, la storia, i materiali, l’elettricità, tutte queste cose per me sono la "politica" del lavoro. E tutto questo per me si ritrova in un contesto storico-politico più vasto che le contiene».
Per me è molto interessante il fatto che tu sia nato nel 1972, un anno prima del golpe di Pinochet, un fatto traumatico che ha radicalmente cambiato la vita del tuo Paese e del suo popolo. Hai vissuto gli anni dall’infanzia fino alla giovinezza sotto il regime di quel dittatore. Quando hai cominciato a elaborare il passato e a usare nel tuo lavoro la storia recente del Cile?

«Si, sono cresciuto durante la dittatura. Mio padre è stato una vittima del regime di Pinochet, per fortuna non è stato ucciso, ma dopo il golpe è dovuto scappare. Poi è stato imprigionato e mia madre ha vissuto per più di un anno da sola prendendosi cura di mio fratello e di me. Le comunicazioni erano difficili e molto segrete, si scambiavano lettere clandestine che venivano recapitate tramite amici. Mio padre era molto coinvolto con il partito comunista, durante il governo di Salvator Allende era il direttore della scuola di formazione dei membri del partito comunista cileno. Prima del golpe di Pinochet, l’11 settembre 1973 Salvator Allende era atteso all’università di Santiago dove si stava preparando un grande festival della democrazia. Tutti sapevano che Allende sarebbe andato lì e l’esercito sapeva bene che c’era anche tutto il suo governo che stava lavorando per il festival. C’era molto da fare quella notte e quasi tutti i membri del governo e del partito comunista, oltre ad intellettuali, artisti, registi, poeti e musicisti, rimasero all’università a lavorare. Il golpe fu fatto la mattina molto presto cogliendoli di sorpresa. Allende chiese ai suoi compagni di non abbandonare l’università e di continuare a lavorare e all’Università Tecnica dello Stato, la polizia trovò quasi tutti i rappresentati del partito comunista, fra cui il musicista Victor Hara a cui ho dedicato una performance. I prigionieri furono deportati nello stadio di Santiago. Quello fu l’inizio del colpo di stato di Pinochet, poi gli aerei, dei Mirage francesi pilotati da militari brasiliani, hanno cominciato a bombardare il palazzo presidenziale. Quando i militari hanno fatto irruzione dentro l’università, per fortuna mio padre era riuscito a scappare. Il mattino del 12 settembre è iniziata la dittatura di Pinochet».
Quando hai deciso di lasciare il Cile per andare a vivere in America?
«Nel 1997, a 24 anni. Non potevo rimanere nel mio Paese perché lì non sarebbe stato possibile essere un artista. In Cile avrei dovuto dividere il mio impegno come artista con quello di maestro o pubblicitario. Quindi ho scelto New York, i primi sette anni ho lavorato come restauratore di mobili antichi, esperienza che mi ha permesso di imparare tantissime tecniche che poi ho utilizzato nel mio lavoro di artista. Sono stati anni molto importanti, una vera e propria scuola».

Per leggere interamente l'interessante l'intervista fatta dalla Ugolini all'originale artista cileno seguite questo link : http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=36956&IDCategoria=1

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